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La promozione sul punto vendita: la parola a Popai
La valorizzazione del punto vendita è un tema al quale le aziende della grande distribuzione dedicano un’attenzione sempre crescente. Per conoscere qualcosa in più in merito all’argomento, abbiamo intervistato Daniele Tirelli, presidente di POPAI (Point of Purchase Advertising International), un’associazione internazionale, senza scopo di lucro, che intende promuovere e valorizzare il punto vendita. La conversazione si è rivelata decisamente illuminante, mettendo in rilievo i pro e i contro delle formule promozionali della grande distribuzione organizzata e specializzata.
MondoPratico: Cosa rende “attraente” un punto vendita?
Daniele Tirelli: L’attrazione del punto vendita si basa quasi sempre su una miscela di fattori oggettivi, quali per esempio lo studio del lay out, e di fattori che potremmo definire “intangibili”, relativi al modo di intendere il rapporto con il cliente e che dipendono fortemente dalla missione aziendale e dallo spirito imprenditoriale di chi l’ha stabilita e di chi la porta avanti.
Le aziende della distribuzione erano e sono imprenditoriali, cioè nate dall’intuizione di personalità di successo che hanno saputo captare lo spirito del tempo e sono riuscite a trasferire sia attraverso la cura di tutti i dettagli sia quel “non so che” che caratterizza un’insegna rispetto a un’altra, una serie di valori, sia estetici sia simbolici, che rendono il punto vendita in parte uguale a molti negozi concorrenti ma, al contempo, inspiegabilmente diverso, determinandone, quindi, il successo.
MondoPratico: Quali sono le strategie comunicative vincenti all’interno del punto vendita?
Daniele Tirelli: Sono premianti quelle strategie che si basano su una grande sensibilità estetica, e soprattutto sulla volontà e la passione di “parlare silenziosamente” al cliente. I prodotti, cioè, possono “parlare” a seconda di come vengono disposti e in base a cosa vengono accostati.
Possono comunicare qualcosa anche in funzione delle modalità con le quali viene esaltato il contenuto di design, prestando grande attenzione all’illuminazione.
Proprio a seconda dell’uso che viene fatto dei sistemi di illuminazione la verdura e la frutta, per esempio, possono “parlare” in modo più convincente; lo stesso vale per i prodotti tecnologici, se posti in condizioni di esprimere la loro bellezza e la carica comunicativa.
Tuttavia vi è anche una comunicazione più esplicita, realizzata prevalentemente attraverso l’esposizione privilegiata, ovvero tramite espositori creati proprio allo scopo di mettere in evidenza, fuori e dentro lo scaffale, determinati prodotti in fase di lancio o di promozione.
Attualmente, a questo proposito, il mezzo più efficace (e che promette una piccola rivoluzione) è il digital signal: si tratta di diplay elettronici che possono essere modulati a piacere, e avere un grande impatto visivo. Attorno a questo mezzo digitale inizia a nascere una nuova grafica, che coinvolgerà molti giovani creativi, che consente di comunicare più velocemente rispetto alla grafica stampata nonché in maniera molto più varia, dato che i costi si abbattono considerevolmente.
MondoPratico: Quanto conta la didattica per il cliente sul punto vendita?
Daniele Tirelli: Può contare moltissimo se articolata secondo delle chiavi espressive che, paradossalmente, non siano esclusivamente “didattiche”: la didattica “pesante”, che consiste nello spiegare puntualmente tutti i dettagli inerenti un prodotto, non conquista l’utenza.
Molto più premiante è la didattica che si avvale del pensiero simbolico, secondo il quale è possibile trasferire in pochi concetti tutta l’essenza del prodotto: si vuole insistere sulla traspirabilità e la resistenza di una scarpa? La si immerge nell’acqua.
Stiamo parlando, cioè, di sistemi che riassumono dei concetti complicati o lunghi da spiegare in un’immagine o in un’idea, in modo da raggiungere in maniera immediata il consumatore.
In definitiva, perché la didattica abbia senso deve saper interagire con il consumatore attraverso un pensiero fulmineo, altamente simbolico, una sorta di condensato di un lungo discorso che non c’è il tempo di fare né la pazienza di ascoltare.
MondoPratico: Come presentare al meglio un prodotto all’interno del negozio?
Daniele Tirelli: Dipende dalla filosofia del prodotto stesso. Se prendiamo un articolo di alta classe, come un gioiello di marca, è chiaro che la rarefazione del prodotto e la gestione degli spazi danno immediatamente la sensazione di preziosità che, unita alla qualità dei materiali, costituiscono la migliore presentazione del prodotto.
In altri casi l’articolo deve trasmettere, invece, il concetto di abbondanza e di facile accessibilità: per farlo si ricorre a display che sottolineino questa sovrabbondanza. Pensiamo alle presentazioni dei prodotti alimentari: l’eccitazione che provoca il reparto della gastronomia, così ricco, persino “esagerato” nella sua offerta, stimola il consumatore a effettuare almeno un acquisto, pur non avendolo preventivato, dato che è difficile resistere a questo richiamo. Di conseguenza la presentazione di un prodotto può funzionare nel senso sia della rarefazione sia dell’accumulo.
MondoPratico: Sempre in tema di promozione, rileva delle differenze fra le iniziative della GDS e quelle della GDO?
Daniele Tirelli: Stiamo attraversando una fase molto particolare di “guerra dei prezzi” che ha determinato un regresso a livello di iniziative promozionali. Se è vero che la GDO riesce a esprimersi meglio in campi più facili, come quello gastronomico, è altrettanto vero che, passando al “no food”, le nuove idee in ambito promozionale sono più limitate.
Anzi, direi che GDS e GDO no food sono piuttosto simili: varia l’assortimento ma non la modalità di gestione del lay out “a pettine”, cioè con le gondole dove ci sono tutte le offerte, e non variano neppure le formule di presentazione e promozione del prodotto che sono, per entrambi i canali distributivi, poco innovative.
In particolare la GDS, nei confronti del consumatore, ha agito in questo modo: gli ha aperto le porte del magazzino, che contiene un vastissimo assortimento a prezzi molto convenienti, ma i prodotti esposti, almeno in determinati casi, non sono stati adeguatamente valorizzati, né lo sono state le novità di prodotto. Per essere franco, quando vado in un punto vendita della grande distribuzione specializzata, mi sento quasi “abbandonato”.
È altresì vero che sono stati fatti alcuni passi avanti: mi riferisco in particolare a iniziative quali i corsi sul punto vendita, che invitano l’utente al dialogo con l’azienda. Sono, comunque, operazioni costose, che solo le insegne più grandi possono portare avanti. Del resto, come ho già evidenziato, la logica è quella del “magazzino aperto”, perseguita non perché non ci sia la volontà, da parte dei gruppi distributivi, di realizzare nuove forme di promozione, ma per fattori strettamente legati alla questione economica.
Dato che i prezzi proposti dalla GDS sono già estremamente competitivi, è logico che il servizio sul punto vendita e nel post vendita non si ripaghi. Il negozio di fai da te, quindi, si limita a vendere dei prodotti anche complessi ma trattati come “pure merci”; d’altra parte se compro un computer iperscontato non posso pretendere anche un addetto alla vendita che mi segua passo passo o mi assista anche nel post vendita. Bisogna capire, in sintesi, che se le performance della GDS a livello di promozioni non sono particolarmente originali, ciò dipende dal fatto che non sono compatibili con la concorrenza spietata che si attua sul fronte dei prezzi.
MondoPratico: Cosa manca alle operazioni promozionali della distribuzione italiana nel suo complesso?
Daniele Tirelli: Credo manchi una logica chiara che enfatizzi i vantaggi effettivi. Dappertutto si segue il principio dello sconto, del vantaggio immediato, che non sortisce sul cliente l’effetto desiderato, anzi determina in lui una grande infedeltà all’insegna, quando non indifferenza.
È un problema che, peraltro, in questi anni si sta accentuando perché, attraverso internet, ci sono sistemi informativi con i quali i consumatori sono in grado di anticipare la conoscenza dei prezzi. L’utente, appreso il costo di un prodotto sulle pagine on line, si reca presso la catena distributiva A, B o C, verifica i costi e successivamente decide dove e cosa acquistare, generando un’estrema infedeltà al marchio.
Questo modo di agire si applica perfettamente alla GDS: l’utente che si reca in un negozio di fai da te, lo fa con un proposito di acquisto ben preciso (effettua il cosiddetto “trip mirato”) e dopo aver reperito sul web le informazioni in merito al prezzo del prodotto desiderato.
Come fare, allora, a fidelizzare l’amante del fai da te? Si potrebbe puntare su promozioni quali la classica carta fedeltà, convertita però in programmi fedeltà che coinvolgano più insegne: se c’è uno scambio, una relazione anche con altre realtà distributive, allora la formula promozionale potrebbe funzionare e render l’utente fedele. Penso a un sistema di questo tipo perché, dato che gli acquisti in un punto vendita della GDS sono meno frequenti rispetto a quelli della GDO, la carta fedeltà di un’insegna del fai da te, da sola, risulterebbe meno efficace per l’obiettivo “fidelizzazione”.
MondoPratico: Cosa rende “attraente” un punto vendita?
Daniele Tirelli: L’attrazione del punto vendita si basa quasi sempre su una miscela di fattori oggettivi, quali per esempio lo studio del lay out, e di fattori che potremmo definire “intangibili”, relativi al modo di intendere il rapporto con il cliente e che dipendono fortemente dalla missione aziendale e dallo spirito imprenditoriale di chi l’ha stabilita e di chi la porta avanti.
Le aziende della distribuzione erano e sono imprenditoriali, cioè nate dall’intuizione di personalità di successo che hanno saputo captare lo spirito del tempo e sono riuscite a trasferire sia attraverso la cura di tutti i dettagli sia quel “non so che” che caratterizza un’insegna rispetto a un’altra, una serie di valori, sia estetici sia simbolici, che rendono il punto vendita in parte uguale a molti negozi concorrenti ma, al contempo, inspiegabilmente diverso, determinandone, quindi, il successo.
MondoPratico: Quali sono le strategie comunicative vincenti all’interno del punto vendita?
Daniele Tirelli: Sono premianti quelle strategie che si basano su una grande sensibilità estetica, e soprattutto sulla volontà e la passione di “parlare silenziosamente” al cliente. I prodotti, cioè, possono “parlare” a seconda di come vengono disposti e in base a cosa vengono accostati.
Possono comunicare qualcosa anche in funzione delle modalità con le quali viene esaltato il contenuto di design, prestando grande attenzione all’illuminazione.
Proprio a seconda dell’uso che viene fatto dei sistemi di illuminazione la verdura e la frutta, per esempio, possono “parlare” in modo più convincente; lo stesso vale per i prodotti tecnologici, se posti in condizioni di esprimere la loro bellezza e la carica comunicativa.
Tuttavia vi è anche una comunicazione più esplicita, realizzata prevalentemente attraverso l’esposizione privilegiata, ovvero tramite espositori creati proprio allo scopo di mettere in evidenza, fuori e dentro lo scaffale, determinati prodotti in fase di lancio o di promozione.
Attualmente, a questo proposito, il mezzo più efficace (e che promette una piccola rivoluzione) è il digital signal: si tratta di diplay elettronici che possono essere modulati a piacere, e avere un grande impatto visivo. Attorno a questo mezzo digitale inizia a nascere una nuova grafica, che coinvolgerà molti giovani creativi, che consente di comunicare più velocemente rispetto alla grafica stampata nonché in maniera molto più varia, dato che i costi si abbattono considerevolmente.
MondoPratico: Quanto conta la didattica per il cliente sul punto vendita?
Daniele Tirelli: Può contare moltissimo se articolata secondo delle chiavi espressive che, paradossalmente, non siano esclusivamente “didattiche”: la didattica “pesante”, che consiste nello spiegare puntualmente tutti i dettagli inerenti un prodotto, non conquista l’utenza.
Molto più premiante è la didattica che si avvale del pensiero simbolico, secondo il quale è possibile trasferire in pochi concetti tutta l’essenza del prodotto: si vuole insistere sulla traspirabilità e la resistenza di una scarpa? La si immerge nell’acqua.
Stiamo parlando, cioè, di sistemi che riassumono dei concetti complicati o lunghi da spiegare in un’immagine o in un’idea, in modo da raggiungere in maniera immediata il consumatore.
In definitiva, perché la didattica abbia senso deve saper interagire con il consumatore attraverso un pensiero fulmineo, altamente simbolico, una sorta di condensato di un lungo discorso che non c’è il tempo di fare né la pazienza di ascoltare.
MondoPratico: Come presentare al meglio un prodotto all’interno del negozio?
Daniele Tirelli: Dipende dalla filosofia del prodotto stesso. Se prendiamo un articolo di alta classe, come un gioiello di marca, è chiaro che la rarefazione del prodotto e la gestione degli spazi danno immediatamente la sensazione di preziosità che, unita alla qualità dei materiali, costituiscono la migliore presentazione del prodotto.
In altri casi l’articolo deve trasmettere, invece, il concetto di abbondanza e di facile accessibilità: per farlo si ricorre a display che sottolineino questa sovrabbondanza. Pensiamo alle presentazioni dei prodotti alimentari: l’eccitazione che provoca il reparto della gastronomia, così ricco, persino “esagerato” nella sua offerta, stimola il consumatore a effettuare almeno un acquisto, pur non avendolo preventivato, dato che è difficile resistere a questo richiamo. Di conseguenza la presentazione di un prodotto può funzionare nel senso sia della rarefazione sia dell’accumulo.
MondoPratico: Sempre in tema di promozione, rileva delle differenze fra le iniziative della GDS e quelle della GDO?
Daniele Tirelli: Stiamo attraversando una fase molto particolare di “guerra dei prezzi” che ha determinato un regresso a livello di iniziative promozionali. Se è vero che la GDO riesce a esprimersi meglio in campi più facili, come quello gastronomico, è altrettanto vero che, passando al “no food”, le nuove idee in ambito promozionale sono più limitate.
Anzi, direi che GDS e GDO no food sono piuttosto simili: varia l’assortimento ma non la modalità di gestione del lay out “a pettine”, cioè con le gondole dove ci sono tutte le offerte, e non variano neppure le formule di presentazione e promozione del prodotto che sono, per entrambi i canali distributivi, poco innovative.
In particolare la GDS, nei confronti del consumatore, ha agito in questo modo: gli ha aperto le porte del magazzino, che contiene un vastissimo assortimento a prezzi molto convenienti, ma i prodotti esposti, almeno in determinati casi, non sono stati adeguatamente valorizzati, né lo sono state le novità di prodotto. Per essere franco, quando vado in un punto vendita della grande distribuzione specializzata, mi sento quasi “abbandonato”.
È altresì vero che sono stati fatti alcuni passi avanti: mi riferisco in particolare a iniziative quali i corsi sul punto vendita, che invitano l’utente al dialogo con l’azienda. Sono, comunque, operazioni costose, che solo le insegne più grandi possono portare avanti. Del resto, come ho già evidenziato, la logica è quella del “magazzino aperto”, perseguita non perché non ci sia la volontà, da parte dei gruppi distributivi, di realizzare nuove forme di promozione, ma per fattori strettamente legati alla questione economica.
Dato che i prezzi proposti dalla GDS sono già estremamente competitivi, è logico che il servizio sul punto vendita e nel post vendita non si ripaghi. Il negozio di fai da te, quindi, si limita a vendere dei prodotti anche complessi ma trattati come “pure merci”; d’altra parte se compro un computer iperscontato non posso pretendere anche un addetto alla vendita che mi segua passo passo o mi assista anche nel post vendita. Bisogna capire, in sintesi, che se le performance della GDS a livello di promozioni non sono particolarmente originali, ciò dipende dal fatto che non sono compatibili con la concorrenza spietata che si attua sul fronte dei prezzi.
MondoPratico: Cosa manca alle operazioni promozionali della distribuzione italiana nel suo complesso?
Daniele Tirelli: Credo manchi una logica chiara che enfatizzi i vantaggi effettivi. Dappertutto si segue il principio dello sconto, del vantaggio immediato, che non sortisce sul cliente l’effetto desiderato, anzi determina in lui una grande infedeltà all’insegna, quando non indifferenza.
È un problema che, peraltro, in questi anni si sta accentuando perché, attraverso internet, ci sono sistemi informativi con i quali i consumatori sono in grado di anticipare la conoscenza dei prezzi. L’utente, appreso il costo di un prodotto sulle pagine on line, si reca presso la catena distributiva A, B o C, verifica i costi e successivamente decide dove e cosa acquistare, generando un’estrema infedeltà al marchio.
Questo modo di agire si applica perfettamente alla GDS: l’utente che si reca in un negozio di fai da te, lo fa con un proposito di acquisto ben preciso (effettua il cosiddetto “trip mirato”) e dopo aver reperito sul web le informazioni in merito al prezzo del prodotto desiderato.
Come fare, allora, a fidelizzare l’amante del fai da te? Si potrebbe puntare su promozioni quali la classica carta fedeltà, convertita però in programmi fedeltà che coinvolgano più insegne: se c’è uno scambio, una relazione anche con altre realtà distributive, allora la formula promozionale potrebbe funzionare e render l’utente fedele. Penso a un sistema di questo tipo perché, dato che gli acquisti in un punto vendita della GDS sono meno frequenti rispetto a quelli della GDO, la carta fedeltà di un’insegna del fai da te, da sola, risulterebbe meno efficace per l’obiettivo “fidelizzazione”.