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Diamo un senso al termine “garden center”

14 February 2008
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Nella distribuzione moderna un punto di vendita deve essere un mix di contenuti che, in maniera allineata e coerente con le specifiche del formato, opera nel mercato introducendo delle peculiarità che differenziano e danno valore alla singola insegna.
In altre parole, si parte da un contenitore comune (il supermercato, il garden center, il centro fai da te di prossimità, ecc.) e su quei contenuti ciascuno lavora per differenziarsi. Ma serve un minimo denominatore comune: che è, per l’appunto, il formato di partenza.
I contenuti di quest’ultimo possono essere segmentati su tre differenti livelli che rappresentano anche una sorta di ciclo evolutivo a cui il punto di vendita dovrebbe essere soggetto:

  1. gli indicatori di struttura: che rappresentano il denominatore comune di identificazione del formato stesso;

  2. le variabili e le leve dell’innovazione: che rappresentano le azioni concrete attraverso cui ciascun punto vendita, sia indipendente sia appartenente a un’insegna che opera in catena o in qualsiasi forma di associazione, usa per specializzare e differenziare la propria offerta;

  3. il posizionamento e le strategie di innovazione: le modalità attraverso cui viene operativamente interpretato nell’area di vendita.


La tavola 1 evidenzia uno schema che offre una visione del processo evolutivo. L’estrazione del garden può partire dalla floricoltura, dal vivaismo o da un negozio dedicato all’agricoltura, la classica agraria. Ricombinando gli indicatori di struttura, prende origine il formato di base che è l’elemento di partenza su cui lavorare per creare ulteriori passaggi evolutivi.
Da ricerche recenti, è emerso che il contenuto del garden non sia chiaro al consumatore. Il nome garden center non identifica nella signora Maria gli indicatori di riferimento: per il consumatore garden è la floricoltura ma anche il centro bricolage che vende piante.
Paradossalmente la relazione più forte con il nome garden center nasce dalla presenza delle piante. In altre parole, per definirsi garden si devono proporre le piante.
Fare comunicazione in un mercato che possiede queste chiavi di lettura diventa dispersivo e poco produttivo, e questo spiega anche - in parte - come in diversi casi la fase di lancio di un nuovo punto di vendita, di un formato garden reale e moderno, con i corretti indicatori di struttura, sia più lento del dovuto e debba farsi carico dei costi di educazione del consumatore. Dove un volano lento come il passaparola risulta l’elemento di certificazione del reale valore espresso dal punto di vendita.
Così come è ormai chiaro al consumatore cosa è un supermercato, si deve lavorare per far sì che anche il termine garden identifichi inequivocabilmente una certa tipologia distributiva.
Dal formato di base poi il processo evolutivo sarà più marcato nelle catene che devono dare valore alla propria identità.

Una situazione paradossale


Parlando di punti vendita specialistici che vendono giardinaggio, la situazione è quasi paradossale: da un certo punto di vista si è appena partiti, dall’altro si è già andati troppo avanti.
Manca un format riconosciuto ma sono già presenti concept evoluti che rimangono esercizi di stile poco replicabili e fini a sé stessi.
Ma perché è così importante avere le idee chiare sul formato?
L’attività di progettazione dei punti di vendita, così come quella di trade marketing, richiede un’attenta analisi dello scenario di mercato per giungere a una strategia di medio periodo. Strategia che rappresenterà poi la spina dorsale dell’attività distributiva.
Le azioni “strutturali” a cui deve rispondere un format richiedono forti investimenti, che hanno ripercussioni sul medio/lungo periodo e pertanto serve una proiezione abbastanza precisa su ciò che si dovrà fare, evitando divagazioni e improvvisazione. Bisogna investire a ragion veduta.
Oggi le variabili e i concetti su cui si fonda un negozio di successo sono i seguenti:

  • si deve innanzitutto offrire un sistema di beni e servizi in grado di soddisfare bisogni complessi. Si deve generare complementarietà nei processi di consumo e nei processi di acquisto;

  • serve un assoluto controllo dei costi per allineare l’onere di quello che si offre con ciò che il consumatore è disposto a pagare. Vanno evitate posizioni di over service che il cliente non è disposto a pagare, così come quelle di under service in cui le aspettative rimangono disattese;

  • le leve su cui agire sono l’assortimento e il merchandising, assecondate da rodati processi e procedure di gestione dell’area di vendita;

  • come quarto elemento troviamo i servizi. Di norma ogni servizio da inaspettato si trasforma in consueto e quindi scontato. Per differenziarsi si devono proporre servizi innovativi che esulano da quelli tradizionali.


I punti vendita che per primi hanno soddisfatto bisogni complessi hanno generato quello che si definisce shopping esperienziale: il consumatore viene calato in una realtà ambientata, in cui il prodotto è presentato in una condizione reale e in cui, per esempio, nella presentazione a scaffale vengono affiancati prodotti complementari e associabili. Il cosiddetto cross selling ormai ampiamente utilizzato anche dagli alimentaristi.
L’assortimento muove più del prezzo e più delle promozioni, anche se circa la metà degli acquisti che tutti noi facciamo è regolamentata dalla disponibilità di tempo. La gamma è elemento cardine per fare attrattiva: il cliente deve poter scegliere all’interno di una proposta ampia e profonda.
Nella trattativa commerciale il complemento finale all’assortimento e allo shopping esperienziale sono i servizi. Come si diceva, devono essere innovativi e costruiti in modo mirato per soddisfare specifiche esigenze di altrettante aree di consumo. Una vendita “sartoriale” modellata su specifici segmenti di consumo. Sempre più dobbiamo scegliere se vogliamo creare una proposta tagliata su misura oppure massificata e banalizzata per abbattere i costi. Questo perchè lavoriamo in un mercato sempre più fatto a clessidra: funziona bene il molto alto e il molto basso.
Dal dire al fare c’è di mezzo il mare, ma la strada si percorre tutto sommato abbastanza facilmente poiché le linee guida sono abbastanza chiare e introducibili attraverso opportune metodologie e analisi di lavoro.
Alla base di un buon negozio c’è quindi l’applicazione di corrette tecniche di marketing, che nell’ambito di una realtà distributiva vengono inglobate in una “scienza” o metodologia di lavoro definita merchandising, che si interessa di tutto quanto concerne la gestione dei prodotti nel punto vendita. Dalla pianificazione all’organizzazione della vendita al dettaglio di un prodotto o dei vari prodotti di un’azienda. Ed è proprio questo che deve fare il punto di vendita.

Un concetto da cui partire


In pratica si sa - più o meno bene - che cosa fare ma non c’è ancora una “scatola” e un concetto ben definito di punto di vendita ove agire.
Per fortuna siamo ancora ai nastri di partenza, ma è proprio questo il momento di iniziare a costruire una sorta di griglia, che tracci le linee guida del moderno garden center, eventualmente anche ai fini urbanistici e legislativi.
Una volta delineata la “fase 1”, il format, si potrà poi procedere con le successive evoluzioni dettate dal concept e dai successivi passaggi (vedere tavola 2).
È innegabile che il mercato italiano nel giardinaggio registri gravi ritardi, ma per certi versi non si è ancora fatto molto e si può ripartire chiarendoci - innanzitutto - le idee su che cosa fare e mettendo a fuoco il concetto di garden da diverse prospettive: quella del legislatore, quella dell’imprenditore, ma soprattutto quella della “signora Maria”.